A Davide
Mi ha regalato il biglietto per il Pukkelpop. Desidera tanto andarci insieme. Continua a ripetermi che è un’esperienza unica: il più antico festival internazionale della musica a settanta chilometri da Bruxelles, dove sono rappresentati tutti i generi musicali. È diventato estenuante.
“Ok, Vestax, andiamo. Ma tu pianifica tutto. Non voglio preoccuparmi di nulla!”, anche se in cuor mio sono cosciente della sua disorganizzazione cronica. Gli è sempre andata bene finora, dobbiamo ammetterlo. Ma un conto è viaggiare quotidianamente per suonare (leggi anche “vivere”) e un conto è organizzare efficacemente un viaggio. Tentando di stupire una persona che ti ritiene incapace di farlo.
18 agosto
Lo odio. Odio tutto di lui. Mi sono fidata, ancora una volta ed è questo il risultato. Con un piccolo disco boy-dj a chiedere una minestra di cipolle di fronte la chiesa di Sant’Olav. Abbiamo fame, tanta. Ma nessuno sembra notare la nostra presenza. Vestax continua a fissare le scarpe bianche con i ciuffi di erba che inspiegabilmente sono incollati alla suola destra, da sempre. Me li fa notare, ma proprio non riesco a sorridergli. Vorrei raccontargli che il campanile della chiesa di fronte a noi aveva la funzione di segnale per la navigazione, il che spiegava l'altezza tutto sommato insolita rispetto agli altri edifici della città. Ma la rabbia per essere qui e non al Pukkelpop è tanta. È l’ennesima dimostrazione che non dovevo seguirlo. Che non dovevo fidarmi, che dovevo prendermi ancora del tempo. È una bugia quando ti dicono che per conoscere a fondo una persona, una convivenza – come per esempio questo viaggio- può essere d’aiuto e che quindi va fatto. Forse è anche vero. Ma bisogna ragionare, sempre. Bisogna scegliere con criterio, soprattutto se non sei un adolescente.
Un ragazzo con una 93R si avvicina e ci grida qualcosa. Vestax gli spiega in inglese di non capirlo.
Il boss estone azzarda con inglese slavizzato domande a me impercettibili. Vestax lo tranquillizza che ci troviamo lì solo per disperazione. Non lo seguo più. Inizia ad improvvisare, e quando improvvisa mentendo, si tocca sempre i capelli e intercala ogni due parole “eh…eh…”. Aggiunge che io sono di Bucuresti e lui è il mio Papi. Che possiamo lavorare per lui dato che abbiamo perso tutto. Cerchiamo protezione, solo protezione. Il ragazzo sembra non avere più pazienza e ci chiede di seguirlo. Noi avanti e lui dietro con la 93R carica. Mi tocco la tasca, e sento l’ISACCO, il borotalco che porto sempre dietro. È una questione di secondi lo spruzzo negli occhi e corro prendendo la mano di Vestax. Forte più forte del vento. Sento il cuore uscire dalla gola, ma non importa. È la paura stessa che si spaventa di noi. Insieme.
Tre giorni interminabili senza mangiare. Vestax era già sottopeso, ormai si intravedono solo le ossa. Il sole di Tallin sembra trapanarci la fronte e l’acqua per l’irrigazione dei giardini pubblici è l’unica fonte di piacere e nutrimento. Ho seriamente pensato che mi divide poco dalla poltronissima gold in paradiso. Ma non riesco ancora ad odiarlo per avermi trascinata in questo viaggio senza ritorno. Non ho neanche la forza di aggredirlo, come vorrei. So quanto ci tiene a me. E so che mai avrebbe voluto farmi vivere un simile incubo.
03 settembre
Vestax è costantemente bianco latte. Ha rischiato brutto. MataHari la meretrice più famosa di Tallinn l’ha accoltellato sotto la porta della Città Vecchia, qualche giorno fa. Lui non ricorda il motivo. Ed io non sono d’aiuto perché quel giorno stavo lavorando al bar Levadia dove un paio di volte alla settimana faccio la cameriera. Il proprietario del bar, Lennart mi ha spiegato che Matahari è psicolabile. Si ammalò quando un musicista italiano la lasciò incinta del loro unico figlio, che perse poco dopo. Forse aveva rivisto in Vestax quel suo unico grande amore e pugnalare lui era una sorta di rinascita, di trionfale e nietzschiana vittoria. Un po’ come Dorian Gray con la sua tela.
Tutto è sempre così surreale. Voglio tornare a Sperlonga. Voglio tornare dal mio mare, nella mia casa bianca con gli infissi blu. Invece mi tocca sperare che Vestax si riprenda presto, comunicare in una lingua incomprensibile e aspettare che qualcuno si accorga di noi e ci aiuti a tornare.
9 settembre
Tallinn-Stoccarda, su un autobus pieno di badanti polacche che faceva scalo lì ma era diretto in Francia. Vestax mi ha convinta dopo essersi già spacciato per mio marito con l’autista. Gli ha spiegato che sono un’ alcolista e ho scolato tutti i nostri risparmi. Per questo deve riportarmi nella terra natia, in quanto lo psichiatria ha consigliato la vicinanza familiare per il recupero e l’eventuale disintossicazione. Vestax è sorprendente. Ha affinato le potenzialità teatrali. Non si tocca più i capelli. E’ anche riuscito ad abbozzare un mezzo pianto. L’autista ci ha trasportati gratuitamente, proibendo addirittura a tutte le passeggere di caricare superalcolici. Ci siamo guardati, sorridendo. Ormai la disperazione ha ceduto il posto alla carica adrenalinica che tutto questo comporta. Stiamo condividendo il peggio di ogni esperienza che avremmo potuto vivere sotto lo stesso tetto, se avessimo per esempio optato per una cattolica convivenza.
Ormai ci stavamo adattando a questo tipo di esistenza così cinematografica. Certo sarebbe bastato un lavoro e qualche soldo in più e forse si sarebbe parlato anche di felicità. Sembrava un film di Sergio Leone. Sembrava quasi una sceneggiatura perfetta. Ma soprattutto: sembrava che lui fosse l’unico con cui potevo trovarmi felice, lì.
15 settembre
Abbiamo iniziato a lavorare come donne delle pulizie in un motel, vicino la Chiesa di San Leonardo. Lo prendo sempre in giro per questo: “Vestax sei una donna delle pulizie”. Lui mi guarda e ride. Si asciuga la fronte e mi canta qualche canzone napoletana. Sa quanto apprezzi tutto questo. Il suo sforzo nel mio dialetto. Invano, ovviamente. Non resteremo molto tempo qui.
“Fidati di me. Riusciremo a tornare a casa. Fidati di me”. E paradossalmente quando me lo dice, è l’unica persona con cui girerei l’intero mondo in mongolfiera. So di potermi fidare. Sì, è tutta colpa sua. Ma mi sto abituando a tutto. Anche alle sue fobie.
Così verso ora di pranzo mi slaccia la divisa verde che copriva ormai vestiti consunti e intrisi di speranze e mi chiede di seguirlo . Metro di Feuerbach e ad attenderci c’è un cliente del motel con cui aveva fatto amicizia, Helmut. Helmut è un camionista. Trasporta il Kuhn Milk in Svizzera e nel Nord Italia. Ci aveva promesso un passaggio fino a Milano.
19 settembre
Siamo da due giorni a Zurigo. Helmut voleva qualcosa di più da Vestax. Lui non mi aveva confidato che al motel veniva sempre con dei giovincelli esili e gentili. Quando durante la guida ha poggiato la mano nel suo interno coscia, mi son sentita soltanto il gomito di Vestax trapassarmi lo stomaco. Ormai non dovevamo neanche più comunicare vocalmente. Mi era tutto chiaro. Durante il pranzo, mentre Helmut si era allontanato per urinare, siamo usciti fuori a fumare. Per non destare attenzioni e perplessità. E poi via.
Di nuovo per mano più veloci del vento.





