giovedì 20 ottobre 2011

ROUGE DALI' (racconto) - a Katerfrancers

Non pensare non pensare non pensare …


Ho sempre trovato imprecisa la locuzione “problema di mente”. Il problema non è della mente, ma nella mente. E nella mia mente c’erano scatoloni di problemi, organizzati e ben distribuiti per ordine, numero e anno. Mi divertivo quasi a catalogarli. E alla fine di ogni “revisione” fissavo inchiostro sulla pelle come a fingere di mettere fine a quel periodo. Come se l’occuparmi di altro avesse contribuito all’effemira illusione di rinsavire. Rinsavire è nella lista delle parole che mi fanno sorridere, insieme a : firenze, latte, scout, bisex, vinile, power, casse, cadauno… stupido come gioco, ma è uno dei pochi momenti piacevoli dell’infanzia trascorsi con mio padre, uomo algido dallo sguardo sentenzioso.
Il  primo fra tutti a pretendere questa “ripresa mentale” , questo ritorno alla vita normale. Ma le menti come le mie nascono senza regole. Non fissano schemi, imparano a conoscerle a stento nel tempo. Senza adattamento sentendosi sempre al di fuori, sentendosi sempre escluse. E questo gli altri non riescono a “vederlo”. Allora ti chiamano “pazza”, “diverso”, “schizzata”, “paranoica”… non è solo una forma mentis, un diverso modo di vivere e PENSARE. Io penso, ma con un animo diversamente sensibile. Ed è per questo che poi mi trovo a rischiare il tutto per tutto in ogni momento.
Il complimento della gente, degli uomini, degli amici che adoro di più è: “ Sei davvero imprevedibile, amo questo di te”. Mi fa sorridere anche “imprevedibile”… che sono un meteo? E poi che vorresti prevedere? I miei silenzi,le mie battute, i miei sorrisi. No, mi spiace. Quello che ami di me è quello che non riesci ad essere tu. E’ l’abnegazione della tua parte migliore che ti colpisce di me. Perché io, nella mia lucida e rossa follia, la lascio libera. Libera di esprimersi.
E poi mi ritrovo qui, con i soliti ed identici problemi. Intossicazione cronica da ipocrisia,anemia, denutrizione, amenorrea, metereopatia e uomini in differita. Questi non mancano davvero mai, forse sono la parte più ludica della mia attuale esistenza. Tutte avranno avuto a che fare con un “uomo in differita”. Pensavo fino a poco tempo che fa che la categoria maschile peggiore fosse l’EX. Mi sbagliavo. Non che fosse necessario cercarne una, qui non si danno premi ai migliori, darlin’. Gli uomini non sono né essenziali né necessari; sono semplicemente piacevoli. Hanno il dono della piacevolezza, rendono piacevole la tua esistenza. E poi hanno anche il dono di peggiorare il tuo equilibrio precario. Che con affanno e tempo cerchi di consolidare. Non che ci sia una tecnica prestabilita e congenita. Ma arrivano e mettono in crisi il “sistema identity” che sembrava inviolabile fino a pochi minuti prima. E fra tutti i migliori sono loro: i DIFFERITI.
Ancora ricordo la mia supernova: Jean More. Les Deux Magots cafè. Bocca impastata di jack, avevo appena finito la serata. Erano le sette di mattina. Appariscente come poche. Due X sulle pseudotette invisibili che ho, una pelliccia bianca di similpelle, un jeans che schiacciava le pacche fino alle scapole. La chioma rouge e afro. Mi dimenavo per difendere dignitosamente la causa delle maghe rumene costrette a pagare i contributi allo Stato perché riconosciute a tutti gli effetti delle lavoratrici. Il mio gruppo rideva istericamente. Ma io davvero le avrei difese di fronte la Corte di Giustizia… qualche giorno prima, mentre urinavo in bagno, leggendo la notizia rimasi scioccata.
Non lo avevo ancora guardato. E poi eccolo, lo sguardo che colpisce e affonda su F9. Nel suo abito nero con il cravattino impuntato di fleur de lis rossi… volevo gridargli “hai vinto!sei un figo e hai vinto, fratello!”. Poi guardai le mie pseudotettineocchidivergenti e capii che non avrei mai potuto incuriosire un uomo così diverso da me. Invece nello stupore della compagnia ubriaca, Monsieur More si avvicinò con il suo caldo cappuccino “complimenti per la mise, milady!” Potevate pungermi con tutti gli aghi delle sedute di Chao Mao, non sarebbe uscita una goccia di sangue.
Due giorni dopo mi ritrovai sommersa di gigli nella sede della mia etichetta discografica, con tanto di biglietti romantici e numero telefonico dell’uomo d’azienda quale era (ovviamente l’azienda fu googlata prima ancora di leggere il biglietto… roba da donne). Mi ritrovai un bel giorno di febbraio con un appuntamento a  Cafe de Flore sempre per la regola #1 “un caffè è come al limone: non si nega a nessuno”. E poi l’insistenza di More era davvero ammirevole, diciamolo. Parlammo di noi, del suo lavoro, dei miei ritmi, della sua casa appena arredata (ansia da risparmio in banca che non c’è),i miei concerti, i suoi non vizi, i miei vizi. Optammo per casa sua. Sì, lo so …non si fa…bla bla bla. Non mi interessava. Jean More era anni luce distanti da me, ci aveva cercata per un mese e mezzo (mai nessuno come lui) e andava premiato. Ma soprattutto gli sarei saltata addosso quella mattina a Les Deux Magots.
Jean More meritava. No, non era l’uomo delle grandi acrobazie ma delle forti prestazioni sì. Decisamente meritevole e stupefacente. E fu così che rivestendomi insistette per riaccompagnarmi. Quanta gentilezza in un uomo solo. Mi sarei quasi potuta commuovere. Due lacrime:occhio destro e sinistro, mi rivestii e via, a casa.
Non pretendevo altro, poteva morire lì la cosa. Ero sempre stata un’amante delle improvvisazioni: “suoniamo, ci divertiamo, ci salutiamo con dignità”. E invece no, Monsieur More era forse un primo omino piacevole e anche interessato alla sottoscritta, nonostante fossimo poco idonei l’uno all’altro. Proseguirono altri due incontri, un pranzo e la visione di “Some like it hot” in un cinema che dava solo vecchi film. “Rouge è originale, dai!”pensai.
E poi si giunge tristemente al decadimento dell’uomo in differita. La peculiarità è questa. Lui fa e disfa. Lui insiste e non desiste. Lui martella, lui ti scopa. Lui continua a cercarti e lui sparisce. Con la stessa facilità con cui fa tutte queste cose: l’uomo MULTIFUNZIONALE. Svanisce senza darti un motivo, un pretesto, una scusa. Non perché tu debba elaborare il lutto. Non c’è stato neanche il tempo di rendere questa conoscenza un dramma esistenziale. Semplicemente è la situazione che vorresti capire. Analizzare, per vedere cosa fa di te una “allontana uomini”. Ma poi si giunge alla fase 3: la consapevolezza che il problema non sei tu. E’ la codardia degli altri che poco si adatta alla tua onestà mentale e la tua libertà morale.

Ogni volta che salgo sul palco o sto dietro una consolle, mi ripeto per tre volte quasi scaramanticamente “non pensare”. La verità è che con la musica mi sono salvata. Ed è lì che annullo ogni pensiero lasciando finalmente libera la mia follia.

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