giovedì 20 ottobre 2011

CHRISTMAS LIGHTS (racconto)

E’ un caffè del centro. Il parco tanto ripreso nelle serie tv si apre sotto i miei occhi.
Parlano convulsamente. La borsa, i viaggi, il sesso, i regali, le ferie. Risate isteriche, finti sorrisi, carezze sotto i tavoli. Continuo a fissare la vetrina. New York sembra così piccola quando l’attenzione è su Jasmina occhiblu. Riscalda le mani con un cappello dei Chicago Bulls e 3 dollari. Ogni tanto caccia la foto della madre dalla tasca. Sospira e l’aria sembra aprirsi al suo respiro. Come formare bolle di preghiere. Poi punta un dito al cielo. Vorrebbe catturare una nuvola o forse dire “ odio tutto questo silenzio”.
Di nuovo dentro. Tacchi e tazze fumanti picchiettano in sincronia come sottofondo di una tradizionale euforia isterica. Mi chiedono della promozione, con una sottile insistenza. Leggo invidia a profusione nonostante l’attenuante natalizia. Vorrei rassicurare tutti che libererò presto il campo. Che non sarà il lavoro di una vita. Che mi sento comunque frustata lì. Che mi interessava un’esperienza all’estero e imparare la lingua. Che sento la solitudine gelare il sangue ogni sera. Che perderei tutti i miei capelli ricci se accettassi quella promozione. Per questo farò felice Emeli rifiutandola.
Era quello che avrei voluto dire. Poi ho pensato che quell’azienda stava investendo tanto su di me e che in Italia non sarebbero bastati dodici anni e un paio di conoscenze importanti per un salto di livello simile.
Ho liquidato tutti con il migliore dei sorrisi e il grande Walt “ Se puoi sognarlo, puoi farlo”.
Il vetro. Ha la faccia da “Benjamin” come l’anziano che viveva di fronte la casa romana durante gli anni universitari. Quello che metteva i vinili di Ella Fitzegerald quando restavo chiusa in camera tutto il giorno con i codici tra le mani. O faceva colazione alla finestra per dividerci l’alba silenziosa. Perché cercavamo entrambi un sorriso e la complicità.
Ben di NY si trascina con il bastone. Non riesce a fermarsi davanti Jasmina. Rallenta, trema, respira. Rallenta, trema, respira. Respira respira. Ma trema. Jasmina fissa il bastone. Vorrebbe fermarlo e prenderlo per mano. Niente, anche Ben americano in direzione ostinata e contraria. Prende una banconota grande con quel simpaticone omonimo. Vuole farcela. Jasmina sorride e non fissa più i suoi movimenti incerti. Lo guarda negli occhi e si sposta il ciuffo di capelli che pendeva sul viso. Poi allunga la mano, la stessa con cui puntava il cielo pochi istanti prima, e inizia a commuoversi. Ben è riuscito nella sua piccola impresa. E lei ha urlato “Happy Christmas, Mister Aaronson! God bless your family”.  Poi si è buttata sul suo grosso pancione coperta dal coppotto grigio fumo e ha stretto più forte. Sempre di più come volesse in un momento fermare tutto quel dolore. Come se per un attimo abbandoni e malattie  erano cancellate via dalla neve. Come se le luci rendevano giorno la notte. E notte il giorno. Tutto si incastrava perfettamente. Un orologio scandito perfettamente dalle loro emozioni. Era Natale. Fuori quel vetro era Natale ed io ero riuscita a vederlo.
Dentro fisso polso e colleghi. Nessuno a casa ad aspettarmi. Perché ero preoccupata dal tempo?  Ero in ritardo. CON TE. Mi avevi chiesto di venire a Milano. Di trasferirmi nella stessa città. Ogni volta non era la volta buona. Non era la nostra volta. Le ansie da carriera, incurabili. Volevi regalarmi serenità. E potevi farlo “da vicino”. Ho finto di non capire e ti ho dato dell’ ‘egoista’. Per una soluzione semplice e scontata.
Per chiudere con una nota stonata, l’armonia di due vite disorganizzate ma autentiche. Ho rincorso ‘Normalità’ per anni. Ho capito ora che non ci appartiene e non è così stabilizzante per due come noi. Noi. Due. Da quanto tempo non parlo di Noi . DI DUE DI DUE.
Ricordi quando ti dicevo: “ Voglio parlarti di mio padre tra le luci di New York”. Mi hai sempre risposto con un banale PERCHE’. Beh, se fossi qui capiresti.
cafe Lalo - NY city
Capiresti anche me e quello che sono,  attraverso i racconti di chi mi ha amato così incondizionatamente. Per una vita. Una intera dedicata a me.
Capiresti perché solo New York è alla sua altezza. E solo le sue luci rendono magico ogni discorso,  annientando la malinconia.
Vetro ultima volta. Sciarpa verde sul cappotto nero. Quello delle serate importanti. Mano sul petto. Voglio fermare tutto. Un momento. Uno solo e per sempre.
Di nuovo fuori. Sei fermo ma sorridi adesso. Mi vedi. Ci guardiamo ma io sono ancora dentro. Non riesco ad alzarmi,  gli altri ora non parlano più. Tu hai in mano un cartello bianco e me lo chiedi di nuovo:

“AMAMI"

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