Il Campo era casa, per lui. Dieci anni ormai che era lì. Entrò il sei giugno alle sei e ventisei.
Varcò la soglia dello scuro portone con un gallo in porcellana come portaombrelli. Guardava tutto con un ingenuo sorriso, avvicinando la valigetta che conteneva il vero e solo tesoro.
L’unico che gli fosse rimasto.
La Claire voleva semplicemente aiutarlo con i bagagli. Ma con quel gesto le fece subito capire che lui non era come tutti. Lui conviveva perfettamente con la solitudine ed il più gran dolore.
La Claire voleva semplicemente aiutarlo con i bagagli. Ma con quel gesto le fece subito capire che lui non era come tutti. Lui conviveva perfettamente con la solitudine ed il più gran dolore.
Si trovava lì, perché sapeva che lei avrebbe sofferto a vederlo solo. Era lei che vedeva in quei posti l’unica ricetta per curare gli uomini anziani e soli. In qualche modo, cercò di obbedire, fino all’ultimo, alla sua volontà. Anche nella distanza.
Ogni giorno era uguale all’altro. Seduto sulla sedia a dondolo di fronte il camino con il sigaro in mano. Di fianco, gli altri abitanti del Campo giocavano a carte o scacchi, le donne si davano alla lettura o tv. E poi anche a cena, aspettava che tutti finissero per prendere la sua pietanza serale e gustarla in camera. Se persisteva la voglia. Solitamente, infatti, dinanzi il ritratto incorniciato nell’argento, giungeva l’inappetenza. A volte, un fragoroso pugno sul tavolo era il preludio di uno straziante pianto. L’ aveva ancora davanti, come fosse ieri. E prima di sprofondare in un sonno inquieto, pregava per rincontrarla al più presto.
Non si accorse subito di me. Era troppo concentrato sul suo dolore. Il male lo avvolgeva senza farlo respirare.
Ogni giorno andavo al Campo, con la scusa del pranzo. Tutti erano felici di vedermi. Fondamentalmente mi vedevano come una nota di colore in un film bianco e nero. E poi ero abbastanza affettuosa, difficile essere prevenuti. Inoltre, gli anziani sono come i bambini, anche se non lo dicono, amano esser coccolati. Io coccolavo un po’ tutti senza preferenze. Poi, prima di andar via, sedevo su un piccolo sgabello, di fianco a lui. E osservavo come boccheggiava il suo sigaro cubano.
Una sera decisi di andare al Campo. Senza preavviso. Potevo sempre avere la scusa della cena, qualora avessero provato a cacciarmi. Non trovai la porta secondaria chiusa, come sempre. Ed entrai velocemente. Non c’era nessuno sveglio, ero tentata di andar via. Poi, di un tratto, lui, con la sua classe e naturalezza, eleganza e virilità, Jean Luc. Mi disse: “ Vieni qui, non aver paura”. Strisciai adagio, sul pavimento, quasi il peso del corpo mi tirò lì per chissà che legge fisica.
Ogni giorno era uguale all’altro. Seduto sulla sedia a dondolo di fronte il camino con il sigaro in mano. Di fianco, gli altri abitanti del Campo giocavano a carte o scacchi, le donne si davano alla lettura o tv. E poi anche a cena, aspettava che tutti finissero per prendere la sua pietanza serale e gustarla in camera. Se persisteva la voglia. Solitamente, infatti, dinanzi il ritratto incorniciato nell’argento, giungeva l’inappetenza. A volte, un fragoroso pugno sul tavolo era il preludio di uno straziante pianto. L’ aveva ancora davanti, come fosse ieri. E prima di sprofondare in un sonno inquieto, pregava per rincontrarla al più presto.
Non si accorse subito di me. Era troppo concentrato sul suo dolore. Il male lo avvolgeva senza farlo respirare.
Ogni giorno andavo al Campo, con la scusa del pranzo. Tutti erano felici di vedermi. Fondamentalmente mi vedevano come una nota di colore in un film bianco e nero. E poi ero abbastanza affettuosa, difficile essere prevenuti. Inoltre, gli anziani sono come i bambini, anche se non lo dicono, amano esser coccolati. Io coccolavo un po’ tutti senza preferenze. Poi, prima di andar via, sedevo su un piccolo sgabello, di fianco a lui. E osservavo come boccheggiava il suo sigaro cubano.
Una sera decisi di andare al Campo. Senza preavviso. Potevo sempre avere la scusa della cena, qualora avessero provato a cacciarmi. Non trovai la porta secondaria chiusa, come sempre. Ed entrai velocemente. Non c’era nessuno sveglio, ero tentata di andar via. Poi, di un tratto, lui, con la sua classe e naturalezza, eleganza e virilità, Jean Luc. Mi disse: “ Vieni qui, non aver paura”. Strisciai adagio, sul pavimento, quasi il peso del corpo mi tirò lì per chissà che legge fisica.
Sedetti al solito posto: sgabello e lui sulla solita sedia a dondolo. Aveva un disperato bisogno di parlare. Forse perché si fidava. Mi vedeva innocua. E così il suo racconto. La sua unica donna, “il primo amore sulla luna”: Louise.
“Louise era una giovane giornalista, quando ci incontrammo la prima volta. I suoi occhi verdi creavano giochi di luci in tutto la sala dove di lì a poco mi sarei esibito con il mio celeberrimo violino. La notai subito. Forse perché la sua sicurezza trasudava in ogni punto. Sapeva fortemente cosa voleva. Mentre insistevo sulle corde, vedevo la languidezza smeralda ammaliante. Pronta a spargere nuove vittime. Non era un’ ingenua provinciale della redazione, come la presentò acidamente la sua redattrice, a fine esibizione. Louise, complice delle mie insistenti attenzioni oculari, sapeva di destare invidia. Soprattutto dalle sue vecchiarde colleghe. Le chiesi come mai un nome così aggressivo. E mi fu chiaro da subito che ogni cosa di lei, sarebbe oscillato tra il fiabesco e il romanzato. La leggenda narrava che sua madre ruppe le acque, mentre assisteva alla rappresentazione della Luise Miller di Verdi. Quella risposta mi lasciò senza parole. Aveva capito come suggestionarmi dalla prima battuta.
Quella sera stessa, passai a prenderla nell’ albergo dove alloggiava. Si era vestita di tutto punto. Un sobrio abito floreale sui toni del blu. Non era alta sartoria, ma Louise era realmente una giovane di provincia che soltanto grazie all’ aiuto di uno zio facoltoso aveva potuto studiare.
Erano gli anni in cui uscì The Wall dei Pink Floyd. Gli anni delle prime donne al governo, Margaret e Marie. Della morte di Aldo Moro. Del trio presidenziale: Nixon, Ford e Carter, che rispettivamente governarono gli USA. Di Papa Paolo VI. Dei Bee Gees, dei Queen.
“Louise era una giovane giornalista, quando ci incontrammo la prima volta. I suoi occhi verdi creavano giochi di luci in tutto la sala dove di lì a poco mi sarei esibito con il mio celeberrimo violino. La notai subito. Forse perché la sua sicurezza trasudava in ogni punto. Sapeva fortemente cosa voleva. Mentre insistevo sulle corde, vedevo la languidezza smeralda ammaliante. Pronta a spargere nuove vittime. Non era un’ ingenua provinciale della redazione, come la presentò acidamente la sua redattrice, a fine esibizione. Louise, complice delle mie insistenti attenzioni oculari, sapeva di destare invidia. Soprattutto dalle sue vecchiarde colleghe. Le chiesi come mai un nome così aggressivo. E mi fu chiaro da subito che ogni cosa di lei, sarebbe oscillato tra il fiabesco e il romanzato. La leggenda narrava che sua madre ruppe le acque, mentre assisteva alla rappresentazione della Luise Miller di Verdi. Quella risposta mi lasciò senza parole. Aveva capito come suggestionarmi dalla prima battuta.
Quella sera stessa, passai a prenderla nell’ albergo dove alloggiava. Si era vestita di tutto punto. Un sobrio abito floreale sui toni del blu. Non era alta sartoria, ma Louise era realmente una giovane di provincia che soltanto grazie all’ aiuto di uno zio facoltoso aveva potuto studiare.
Erano gli anni in cui uscì The Wall dei Pink Floyd. Gli anni delle prime donne al governo, Margaret e Marie. Della morte di Aldo Moro. Del trio presidenziale: Nixon, Ford e Carter, che rispettivamente governarono gli USA. Di Papa Paolo VI. Dei Bee Gees, dei Queen.
E dell’ esordio di George Lucas.Ed è in questo scenario, che conobbi Louise.
Era pronta a farmi respirare amore. Anche se in quella serata ancora non sapevamo nulla. Volevamo stare insieme, e vivere questa attrazione fatale. Mentre andai a prenderla, continuavo a chiedermi, quanti ne avesse divorati, lei, mangiatrice di uomini, femme fatale, rossa dagli occhi smeraldi, che chiedeva solo di far l’ amore.”
Mi avvicinai a lui, per ascoltarlo meglio.
“Cara amica, quella notte continuavo a ripetermi che non dovevo andare. Che era l’ ennesima nostalgia di amore, la pretesa di un amore impossibile, non comprato come gli altri. Ero cosciente. Ma amica mia, la nostalgia cos’è? Io mi sentivo perso, avevo bisogno di un’ ancora per salvarmi dall’ abisso in cui ero sprofondato con una vita selvaggia e sregolata. La vita d’ artista. In cui sarei ripiombato, appena comparsa la noia con il nuovo gioco. Ancor prima di averla, pretendevo di possederla. L’esclusiva su di lei.
Dopo quella notte, cara amica, i mesi più rosei. La felicità mi venne a bussare. Diventammo inseparabili. In tutto. La prima settimana dopo il primo incontro, fu fuoco e fiamme. Era la donna più passionale che avessi conosciuto. E appena prima di finire, pensavo già alla volta che sarebbe seguita. Non volevo lasciarla mai sola, se fosse stato possibile, non mi sarei esibito per un anno. Dovevo recuperare tutto il tempo perso con Louise.
Mi avvicinai a lui, per ascoltarlo meglio.
“Cara amica, quella notte continuavo a ripetermi che non dovevo andare. Che era l’ ennesima nostalgia di amore, la pretesa di un amore impossibile, non comprato come gli altri. Ero cosciente. Ma amica mia, la nostalgia cos’è? Io mi sentivo perso, avevo bisogno di un’ ancora per salvarmi dall’ abisso in cui ero sprofondato con una vita selvaggia e sregolata. La vita d’ artista. In cui sarei ripiombato, appena comparsa la noia con il nuovo gioco. Ancor prima di averla, pretendevo di possederla. L’esclusiva su di lei.
Dopo quella notte, cara amica, i mesi più rosei. La felicità mi venne a bussare. Diventammo inseparabili. In tutto. La prima settimana dopo il primo incontro, fu fuoco e fiamme. Era la donna più passionale che avessi conosciuto. E appena prima di finire, pensavo già alla volta che sarebbe seguita. Non volevo lasciarla mai sola, se fosse stato possibile, non mi sarei esibito per un anno. Dovevo recuperare tutto il tempo perso con Louise.
Eravamo incoscienti, giovani e bizzarri. Dopo poco, come prevedibile, rimase incinta. Era una notizia che fino a poco tempo prima mi avrebbe agitato e angosciato. Ma lì, con lei, diventar padre era la realizzazione e definizione del nostro rapporto. Mi chiedeva sempre di suonare per lui o lei. Diceva che il bambino si rilassava con le mie dolci note. Componevo anche due melodie al giorno. Ero romanticamente ispirato. Era lei la mia ispirazione.”
Lo vedevo lacrimare. Il dolore era sempre più cupo.
“ Il giorno che scelsi di fare la classica proposta eravamo in viaggio. Era il sei di giugno. Il giorno del suo compleanno. Bella come non mai. Un foulard le avvolgeva il capo, e un lungo abito rosa e immacolato, le si stringeva sul pancione della nostra Micol. Così avevamo deciso di chiamarla.
Guidavo la mia alfa romeo 1750 coupè rossa fiammante. Quando, d’ improvviso, un grande furgone deragliò su di noi, gettandoci contro un muro. In un colpo solo, persi ciò che amavo davvero nella mia vita”
Si slacciò la collanina che indossavo al collo. “SOULEI” era inciso sul ciondolo. Jean Luc me la rimise.
“ Cara Soulei, da quel momento ad oggi, non ho mai smesso di amarla. L’ affanno e l’ inquietudine non mi abbandonarono mai. Neanche un’ ora di un sol giorno. Ho suonato e continuato a comporre. Purtroppo Louise mi illuse che la musica può nascere solo dalla felicità. Ma non è così. E’ la disperazione che mi porta a comporre, ora. A fare musica. La voglia di far rivivere Louise nelle mie note. Di dedicarle le mie più dolci preghiere. Di accarezzarci nudi, sfiorandole le dita, per un’ ultima volta. Ed il silenzio, l’ alcol e il sonno sono la cura che fino ad oggi hanno alleviato la ferita. Ora, in questo posto, qui al Campo, spero di trovarne un’ altra di cura, una ancora , che sia salutare.
Adesso però , lasciami riposare. I ricordi sanno abbatterti fisicamente”.
Lo lasciai alle note di Morfeo. Iniziai a fargli le fusa intorno la gamba sinistra, e poi saltai sulle sue ginocchia. Poggiò la mano sul mio lungo pelo grigio cenere. Non guardò i miei languidi occhi smeraldi.
E non pensò all’ anagramma. “ Soulei”.
A volte si può rinascere.
Anche dalla cenere.
Lo vedevo lacrimare. Il dolore era sempre più cupo.
“ Il giorno che scelsi di fare la classica proposta eravamo in viaggio. Era il sei di giugno. Il giorno del suo compleanno. Bella come non mai. Un foulard le avvolgeva il capo, e un lungo abito rosa e immacolato, le si stringeva sul pancione della nostra Micol. Così avevamo deciso di chiamarla.
Guidavo la mia alfa romeo 1750 coupè rossa fiammante. Quando, d’ improvviso, un grande furgone deragliò su di noi, gettandoci contro un muro. In un colpo solo, persi ciò che amavo davvero nella mia vita”
Si slacciò la collanina che indossavo al collo. “SOULEI” era inciso sul ciondolo. Jean Luc me la rimise.
“ Cara Soulei, da quel momento ad oggi, non ho mai smesso di amarla. L’ affanno e l’ inquietudine non mi abbandonarono mai. Neanche un’ ora di un sol giorno. Ho suonato e continuato a comporre. Purtroppo Louise mi illuse che la musica può nascere solo dalla felicità. Ma non è così. E’ la disperazione che mi porta a comporre, ora. A fare musica. La voglia di far rivivere Louise nelle mie note. Di dedicarle le mie più dolci preghiere. Di accarezzarci nudi, sfiorandole le dita, per un’ ultima volta. Ed il silenzio, l’ alcol e il sonno sono la cura che fino ad oggi hanno alleviato la ferita. Ora, in questo posto, qui al Campo, spero di trovarne un’ altra di cura, una ancora , che sia salutare.
Adesso però , lasciami riposare. I ricordi sanno abbatterti fisicamente”.
Lo lasciai alle note di Morfeo. Iniziai a fargli le fusa intorno la gamba sinistra, e poi saltai sulle sue ginocchia. Poggiò la mano sul mio lungo pelo grigio cenere. Non guardò i miei languidi occhi smeraldi.
E non pensò all’ anagramma. “ Soulei”.
A volte si può rinascere.
Anche dalla cenere.

la verità non è che scrivi male, ma che leggi sempre le stesse cose
RispondiEliminadovrei aggiornarmi.
RispondiEliminadecisamente, radicalmente
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